Il racconto di Anna Rastello, informatica ed esperta di scienze umane. Con il compagno fotografo ha attraversato 22 nazioni percorrendo 11.275 chilometri. Un viaggio incredibile che adesso è diventato un libro

Era il 16 ottobre del 2018 quando chiudevamo casa, tra le cime già innevate delle Alpi Graie. Un giorno e mezzo ed era già confine da superare, una croce tra neve e nebbia al Col dell’Autaret (3072 metri) estremo Nord Ovest d’Italia. Un’emozione da vivere altre ventitré volte, tante le frontiere attraversate prima di arrivare a Trieste il 15 ottobre 2019, trecentosessantacinque giorni e  undicimiladuecentosettantacinque chilometri di passi dopo.

Riccardo e io, centovent’anni in due. Lui fotografo camminatore, da quarant’anni racconta l’Italia con parole e immagini per illustrare i cambiamenti di paesaggi e luoghi. Io ho iniziato a “camminare” nel 2011 per tenere fede a una promessa, e da allora cammino alla ricerca di un nuovo sguardo sulle fragilità.

La mappa del viaggio disegnata da Paolo Rumiz per “il Venerdì”

Nei voluminosi zaini la tenda, l’occorrente per dormire e cucinare, l’abbigliamento per le quattro stagioni; pronti a esplorare l’Europa in un’epoca in cui pare che l’unica esplorazione possibile sia quella dentro se stessi. Un fisico allenato, ma non troppo, una notevole curiosità, un pizzico di pazzia, caparbietà quanto basta e uno sguardo bambino capace di emozionarsi per il bello e rattristarsi per il brutto.

Francia, Spagna, Portogallo, ancora Spagna e Francia, ma questa volta da Ovest a Nord Est, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Austria, Repubblica Slovacca, Ungheria, Romania, Serbia, Bulgaria, Macedonia del Nord, Grecia, Albania, Montenegro, Bosnia ed Erzegovina, Croazia e Slovenia.

I nostri piedi unico mezzo di trasporto, il percorso definito giorno per giorno, scegliendo la direzione a ogni bivio, seguendo suggestioni, consigli elargiti da incontri inattesi o dribblando situazioni impreviste. I corsi d’acqua le nostre linee guida: Rodano e Ebro verso il Mar Mediterraneo, Tago attraverso la Spagna fino al confine con il Portogallo, Garonna, Loira e Senna superate con altissimi ponti, la Schelda belga, il Mittellandkanal in Germania sino all’Elba, il Danubio incontrato, lasciato e ritrovato a più riprese, le trasparenti Neretva e Una in Bosnia ed Erzegovina.

Centosessanta giorni di grandi pianure in Francia, Polonia e Ungheria a bilanciare i duecentocinque trascorsi a salire e scendere da colline e montagne. Dalle Alpi al Vercors, dai Pirenei alla Meseta meridionale, dai Monti di Toledo al Sistema Centrale Spagnolo, dalla Serra da Estrela al monti Cantabrici, e le Alpi Transilvaniche, i Monti Balcani, il massiccio montuoso dei Rodopi in Macedonia del Nord, la Catena del Monte Korab, le Alpi Dinariche.

Ventun Nazioni, preferendo i retrobottega, luoghi autentici per conoscere ciò che raramente viene raccontato, per studiare sul campo Storia e Geografia, approfondire il passato e comprendere meglio il presente, tenendo i cinque sensi sempre pronti a cogliere ciò che ci proponeva l’andare lentamente. Tante lingue nella nostra Europa, ma non abbastanza per non intrecciare sentimenti; è facile comprendersi se si segue il suggerimento di un barista portoghese “vamos nos olhar nos olhos – guardiamoci negli occhi”.

Un’esperienza di vita frugale, quasi monacale: giorni cadenzati da orari e attività sempre uguali, alla ricerca di incontri con natura e persone, ogni sera l’ansia della precarietà per la mancanza di un tetto sicuro a cui arrivare a fine giornata. Numerose le piccole gentilezze, brevi condivisioni o lunghi dialoghi, magari aiutati dal traduttore di Google. Claire, anziana donna francese, ci benedice augurandoci passi leggeri. Il benzinaio greco vede spesso passare sulla strada, tra monti brulli e assolati, uomini arrivati da terre in cui la fatica di vivere è il terrore di una guerra infinita, da terre che non danno frutti perché la pioggia non le bagna, da terre in cui i diritti sono una chimera e la libertà è obbedire senza resistenza: ci rincorre e, senza una parola, ci mette in mano una bottiglia di acqua fredda, si gira e torna al suo lavoro.

Pochi chilometri di Portogallo ed ecco Miguel sporgersi dal suo orto e metterci tra le mani quattro arance e: “vedrete che nelle mia terra vi troverete bene, perché il Portogallo è un paese simpatico!” A Marisa, in Slovenia, chiediamo acqua e ci dona una fetta di dolce e la possibilità di farci la doccia. Ivan, nella Repubblica Ceca, si affaccia alla finestra e ci regala una sosta, una zuppa e tanti ricordi. E padre Giuseppe ci apre casa, cucina con e per noi, e ci aiuta a capire più nel profondo l’Albania in cui vive.

Un’Europa che ha timore del diverso. E non di rado noi apparivamo il diverso. Una coppia non più giovane, a piedi, smagrita (in due pesavamo appena un soffio oltre i cento chilogrammi), abbigliamento liso e impolverato, zaini scoloriti dalla pioggia e dal sole. Scambiati spesso per vagabondi o per migranti abbiamo capito l’importanza di una carta d’identità sul cui frontespizio campeggia la scritta “Repubblica italiana”.

Un anno in silenzio assoluto, senza utilizzare i social, per poterci gustare il qui e ora. Ora, tornati a casa, ci rendiamo conto che conoscenze, fotografie, appunti e ricordi accumulati in questo cammino sono un patrimonio che non vorremmo rimanesse solo nostro; l’Europa è una bambina, talvolta capricciosa e indisponente, e ha bisogno di tutti noi per poter crescere e diventare ciò che i Padri dell’Europa avevano sognato: una donna di pace.