Che cosa indica la parola domiciliarità?

Spesso la sentiamo, ma può succedere che qualche volta ci venga da pensare solo ai servizi che vengono offerti direttamente a casa: la consegna dei pasti, una persona che aiuta a fare le pulizie o a cucinare, qualcuno che tiene compagnia.
Eppure domiciliarità vuol dire molto di più, come da anni sostiene l’Associazione Bottega del Possibile: è il contesto di vita della persona, dotato di senso perché comprende tutta la sua storia, i suoi affetti e la sua memoria. Essa non è composta solo di cose materiali, ma anche di ricordi e di sentimenti immateriali. Domiciliarità comprende il luogo in cui si vuole continuare a vivere perché protegge, cura e dà sicurezza, ma non si limita solo alla casa, bensì si allarga al vicinato, al paesaggio, alla propria comunità fatta di relazioni con le persone.
La domiciliarità non deve essere scambiata con l’assistenza domiciliare o con la possibilità di avere una casa, ma è un vero e proprio diritto di cui ogni persona dovrebbe godere, un diritto che va protetto ed esteso. Questo può essere fatto solo attraverso i legami e le relazioni del territorio, tra i familiari, tra i servizi, per realizzare una Comunità che si cura, ossia che si prende cura di se stessa, che vuole arrivare a combattere la solitudine e l’isolamento, mettendo a disposizione le proprie qualità e il proprio tempo a servizio degli altri.
In questo tempo così difficile, in cui il virus ci costringe a rimanere spesso in casa e non vedere le persone a cui siamo legati, questo senso di domiciliarità può farci mettere in gioco, utilizzando le nostre qualità per prenderci cura l’uno dell’altro e non sentirci da soli a combattere.
La domiciliarità è un diritto, ma siamo noi a doverci ricordare di farlo valere.

Sara Andreis
Assistente sociale del progetto D.A.R.

 

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