Quanto accaduto a Ceuta la scorsa settimana torna a porre in evidenza la debolezza della politica su migrazioni e asilo dell’Unione europea

Mohamed diceva, nel suo scarso spagnolo, di avere 16 anni, ma dalla sua faccia e dalla sua altezza era probabile ne avesse tre o quattro meno. Aveva i denti in disordine e il corpo minuto. Da due notti dormiva su dei cartoni sotto una palma sul lungomare di Ceuta. Da quando era saltato in acqua alla spiaggia del Tarajal e aveva percorso a nuoto i 50 metri che separano il Marocco dalla Spagna, era riuscito a trovare qualcosa da mangiare, ma le notti sono fredde.

La stragrande maggioranza dei marocchini entrati in Europa, dopo che il re Mohamed VI ha tentato di ricattare il suo vicino del nord, verrà rimpatriata. Ceuta è piccola e la maggioranza di quelli che si sono buttati in mare (le loro teste erano piccoli punti neri tra le onde) lo ha fatto perché ingannata: dalle promesse su internet di una partita di calcio con Ronaldo o perché pensava di andare in gita.

Queste persone, mentre si aggirano nella città spagnola del Nord Africa, spiegano che nel loro Paese non c’è lavoro, che la polizia è cattiva, che vogliono studiare, che vogliono avere un futuro. Mohamed non vuole tornare in Marocco, ma è probabile che lo abbia già fatto o che sia sulla nave al confine dove sono stati radunati i minori. È probabile che si sia messo a piangere, come altri, quando è riuscito a parlare al telefono con la madre. Ora starà aspettando che sua madre e lui stesso siano identificati correttamente, perché non si crei un caso di tratta di minori.

La Spagna ha visto aumentare vertiginosamente la popolazione di Ceuta di un 10% ed è diventato chiaro che il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo presentato lo scorso settembre da Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione, benché approvato dal Consiglio europeo, è insufficiente. Il controllo delle migrazioni nel Mediterraneo centrale è subappaltato alla Libia e ciò comporta uno scarso rispetto dei diritti umani. Il sistema di asilo è fallito fin dal 2015 e non funziona il Regolamento di Dublino, che stabilisce che l’asilo possa essere richiesto solo nel Paese di arrivo. Non sarebbe nemmeno sufficiente che, come stabilisce il Patto sulla migrazione e l’asilo, venisse migliorata l’identificazione alle frontiere, rafforzando il sistema Eurodac. Neppure basterebbe fissare un limite di dodici settimane per rispondere a una richiesta di asilo. Finché i meccanismi di solidarietà con i Paesi del sud dell’Europa saranno di “contributo flessibile”, non obbligatorio e solo in caso di crisi, di fatto non verrà riconosciuto a Spagna, Grecia e Italia il loro stato di frontiera meridionale di tutta l’Europa.

Nel caso di Ceuta, Bruxelles è riuscita a riportare a più miti consigli Rabat, ricordando i quasi 400 milioni di euro all’anno che riceve in aiuti. Tuttavia, questa non è una soluzione stabile del problema.

Mohamed e Mamadou hanno bisogno di un futuro. Il miglior futuro sarebbe in Marocco e in Guinea Conakry, ma per questo c’è bisogno di molte cose, tra cui investimenti e consolidamento della democrazia. L’Europa non può cessare di aiutare a costruire questo futuro, perché non è possibile mantenere stabile una frontiera se continua a esistere una differenza abissale nei redditi. Tutta l’Europa, specialmente la Spagna, ha bisogno di molti Mohamed e Mamadou, disposti a integrarsi e a mantenere a galla il Vecchio Continente. Mohamed e Mamadou meritano un sistema migratorio che non metta in pericolo le loro vite.