Pandemia: il Corriere di Chieri in viaggio tra i richiedenti asilo ospitati in città

Hanno imparato a distanza, come tutti gli altri studenti. In più si sono ritrovati chiusi in casa a migliaia e migliaia di chilometri dal loro paese di origine: sono i richiedenti asilo ospitati negli alloggi di Chieri e dintorni, a partire dagli 80 gestiti dall’Associazione Tra Me.

É il gruppo più numeroso ma non crescerà neanche se aumenteranno gli sbarchi. Anzi, si restringerà se Tra Me vincerà l’appalto lanciato dalla Prefettura e verrà confermato il progetto di accoglienza di Chieri.

I dipendenti dell’associazione lo sperano, anche se le condizioni economiche saranno peggiori rispetto alle attuali: Tra Me riceve circa 28 euro come oggi ma avrà maggiori spese. Ma almeno potrà dare continuità al lavoro svolto in questi anni, considerando i tempi lunghi per l’approvazione delle richieste di asilo. E pure le difficoltà provocate dalla pandemia: <<Abbiamo dovuto ridisegnare completamente la nostra attività>> esordisce Sara Talarico, coordinatrice di Altra-Meta. É il progetto di accoglienza di Tra Me, per cui lavorano otto persone e che comprende anche le persone accolte a Chivasso e Castagneto Po (con un rapporto di un operatore ogni 14 ospiti).

Gli 80 migranti di Chieri sono suddivisi in dieci alloggi tra viale Diaz, via Martiri della Libertà, via Aldo Moro, strada Baldissero e via Marconi, dove c’è anche la sede dell’associazione: <<Abbiamo ridotto il giro di controllo fra le case, anche perchè dovevamo sempre bardarci come fossimo dei medici: un bel problema in un lavoro che si basa sulla relazione fra persone. In pratica avevamo una barriera in più da affrontare oltre a lingua e cultura>>.

Ci sono stati dei contagi negli alloggi? <<Sì, i positivi sono sempre stati spostati in un centro messo a disposizione dalla Questura. Invece i coinquilini finivano in quarantena>>.

Interviene Grazia Viola, operatrice che dall’anno scorso segue i migranti chieresi: <<In questo anno e mezzo abbiamo dovuto concentrarci sugli impegni scolastici: una ventina degli ospiti studia per ottenere la licenza di terza media. Ma è stato difficile fare lezione a distanza con i cellulari. Anche perchè i nostri ragazzi studiano in una lingua che non è la loro>>.

Per i migranti non è stato facile affrontare questi mesi di incertezza: <<Io ho fatto il primo lockdown in un dormitorio di Torino – ripercorre Wanderlucio, brasiliano che ha 45 anni e da 20 vive in Italia – A maggio sono arrivato a Chieri, in un appartamento con altri sette ragazzi da Pakistan, Mali e Gambia: mi trovo bene, faccio dei lavoretti come muratore e non vorrei tornare in Brasile. Lì c’è tanta violenza e la vita costa cara>>.

Tra Me accoglie anche Gift, la ragazza di vent’anni che è arrivata dalla Nigeria e il 28 marzo ha partorito la sua Highest all’Ospedale Maggiore: <<Non sappiamo ancora nulla del papà della bimba>>, ammette Talarico.

Il loro caso è uno dei più delicati fra quelli dei migranti chieresi, arrivati in Italia con i barconi dall’Africa oppure dall’est Europa, via terra: <<Qualcuno racconta viaggi molto complessi, al limite della legalità e della dignità: sono soprattutto donne, che spesso hanno sofferto di più. Oppure hanno dei bambini da far crescere in un contesto sociale nuovo, senza lavoro nè istruzione.>>.

É andata meglio alla piccola Asia, che ha 7 anni e vive a Chieri con tutta la famiglia: il papà Aziz e la mamma Anna sono armeni e sono scappati dalla guerra insieme ai tre figli (Yuri ha 15 anni e Liana 13). Adesso lei lavora come badante mentre lui è un saldatore: <<Siamo arrivati in Austria con l’aereo – ripercorre Anna in un buon italiano – Siamo rimasti 7 mesi e poi ci hanno spedito a Bologna perchè avevamo il visto per l’Italia. E’ stata dura imparare una nuova lingua e abituarsi al caldo ma adesso siamo felici>>.

I ragazzi hanno finito la scuola e possono guardare al loro futuro: <<Siamo a Chieri da febbraio e vogliamo rimanere: si può andare a piedi dappertutto. Abbiamo anche ottenuto l’asilo e le carte d’identità, così Yuri può giocare a calcio al Duomo: così esce un po’, dopo il lockdown è difficile convincerlo a non chiudersi in casa>>.

Sarebbe andata peggio se la famiglia fosse rimasta in Armenia: <<A 18 anni lo avrebbero arruolato perchè c’è la guerra contro l’Azerbaijan. E sarebbe finito in carcere 4 anni se si fosse rifiutato: è per questo che non vogliamo tornare al nostro Paese, tanti ragazzi sono già morti o sono rimasti invalidi>>.

Molti dei richiedenti asilo stanno completando il loro ciclo di studi e devono superare l’esame di terza media: Babadia, per esempio, è del Mali e ha preparato un elaborato sul suo Paese di origine. Se tutto andrà bene, lui e gli altri studenti di Tra Me potranno continuare a fare formazione o andare a lavorare: <<Intanto speriamo che venga accolta la richiesta di asilo – incrocia le dita Talarico – Il Covid ha fatto congelare tutte le domande, che già impiegano tantissimo tempo per essere valutate: dovrebbero arrivare in pochi giorni, invece arrivano dopo 3 o 4 anni>>.

Circa la metà delle richieste viene respinta e i migranti devono fare ricorso per provare a “ribaltare” il risultato: <<É l’incertezza principale del sistema, che ha tanti paletti e burocrazia. Ma non è l’unico: spesso ci si dimentica che molte di queste persone hanno difficoltà di relazione, problemi psicologici o psichiatrici. Noi li affrontiamo ma abbiamo bisogno di aiuto da parte dei professionisti>>.

Spesso ci sono anche banali problemi di convivenza: <<In uno degli alloggi ci sono scontri durissimi per la pulizia, gli schiamazzi e la raccolta differenziata: purtroppo può succedere>>.

Sono mai capitati episodi di intolleranza? <<Abbiamo ricevuto risposte terrificanti da parte di agenzie che affittavano degli alloggi. Ma non è successo a Chieri: qui abbiamo un buon rapporto con la gente, con il Comune e con il Consorzio socioassistenziale>>.