Oxfam

I sei paesi più ricchi del mondo ospitano meno del 9% dei rifugiati su scala globale, mentre il
peso maggiore dell’accoglienza è sostenuto dai paesi più poveri.

I sei paesi più ricchi del mondo ospitano meno del 9% dei rifugiati su scala globale, mentre il peso maggiore dell’accoglienza è sostenuto dai paesi più poveri. Le economie più avanzate possono e devono fare molto di più per aiutare le persone in fuga da conflitti e violenze.

Risposte inadeguate a crisi generate dalle azioni umane

Più di 65 milioni di persone hanno lasciato la propria casa a causa di conflitti e violazioni dei diritti umani. La maggior parte di queste sono sfollate nel paese d’origine a causa di violenze spesso perpetrate dalle stesse autorità che dovrebbero proteggere i loro diritti e garantire la loro sicurezza. Molti trovano rifugio nei paesi confinanti che, nella maggior parte dei casi, non hanno i mezzi per assisterli. Ognuna delle crisi, da cui questo enorme numero di persone è in fuga, presenta caratteristiche particolari, ma nessuna si può ritenere inevitabile e tutte sono causate da azioni umane.

Governi e gruppi armati che, in guerra per il potere e le risorse – dallo Yemen alla Colombia – spingono decine di milioni di persone a lasciarsi tutto alle spalle. Gli stati confinanti e i paesi più ricchi a volte alimentano questi conflitti, fornendo armi o non facendo abbastanza per facilitare i processi di pace. Ad esempio l’aumento di armi vendute (anche dal Regno Unito e dagli Stati Uniti) all’Arabia Saudita – che guida una coalizione in guerra in Yemen – ha provocato nel 2015 un aumento del 10% nella vendita globale di armi.

Come rivelato da una ricerca di Oxfam, alcuni governi non solo hanno dato una quota adeguata di aiuti a quanti hanno visto distrutta la propria vita dal conflitto siriano, ma hanno anche accolto una quota adeguata di rifugiati siriani nel loro paese. Si tratta purtroppo di eccezioni rispetto al trend più generale osservato quest’anno, con governi che troppo spesso sottovalutano i bisogni delle persone più vulnerabili e non rispettano lo spirito delle leggi internazionali che sostengono. Inoltre, non tutti i governi che hanno accolto i rifugiati in passato, sono adesso disponibili a continuare a farlo o a garantire il loro diritto di chiedere asilo.

A marzo, l’Ue e la Turchia hanno concluso un controverso accordo che ha di fatto lasciato migliaia di uomini, donne e bambini in Grecia, spesso in condizioni di estrema difficoltà e nell’incertezza del loro status legale. Questo accordo può essere visto come un vero e proprio accordo di scambio di esseri umani per ricevere concessioni politiche, e contravviene allo spirito – quando non proprio al testo – della Convenzione sui Rifugiati del 1951, che stabilisce i diritti dei rifugiati e le responsabilità dei governi di proteggerli. Esternalizzando alla Turchia il controllo delle proprie frontiere, l’Europa ha scatenato un effetto domino. A maggio, infatti, il Kenya ha annunciato la chiusura del campo profughi di Dadaab, spiegando che se l’Europa può respingere i siriani, il Kenya ha il diritto di respingere i somali.

La Turchia stessa ha introdotto il controllo dei visti per i siriani che cercano di entrare via terra o via mare da paesi terzi; attualmente circa 70.000 siriani sarebbero bloccati in una terra di nessuno – in un luogo conosciuto col nome di ‘spianata’ – tra Giordania e Siria, da quando la Giordania ha sospeso l’accesso ai rifugiati dopo un attacco suicida avvenuto il 21 giugno.

Ogni governo ha ovviamente il diritto di mantenere la sicurezza nel proprio paese, ma questo non può compromettere il rispetto della legge internazionale e dei diritti dei rifugiati. Quando i governi, di qualsiasi paese, abbandonano i rifugiati, mettono in pericolo le persone più vulnerabili del mondo. Nel 2015 a livello globale più di 5.400 persone sono morte in terribili viaggi della speranza cercando di raggiungere luoghi che consideravano sicuri, e solo nei primi sei mesi del 2016 ne sono morte nello stesso modo altre 3.651. Le famiglie vengono separate e spesso i genitori non riescono a ritrovare i propri figli. La maggior parte delle persone ha lasciato tutto dietro di sé, e arriva con indosso solo gli indumenti che aveva al momento della fuga. Alcuni si ritrovano a vivere per strada o in insediamenti sovraffollati, in condizioni che possono provocare infezioni ed epidemie. In molti paesi, i rifugiati non possono lavorare e rischiano di essere cacciati o puniti se scoperti a guadagnarsi da vivere. In alcuni casi non hanno nemmeno la possibilità di comprare cibo, acqua o altri beni essenziali; i bambini non vanno a scuola, escludendo così un’intera generazione dal diritto all’istruzione. Marginalizzati nei paesi nei quali si ritrovano, le donne e i bambini sono particolarmente a rischio di sfruttamento. Da paesi come Siria, Yemen, Nigeria e Sud Sudan arrivano storie di distruzione e morte, di quotidianità terribili e disumane. Molti neanche sperano più di tornare nei paesi d’origine, come il Sudan o la Somalia, perché sanno che sarebbe troppo pericoloso.

La misera accoglienza dei paesi ricchi

L’analisi di Oxfam – che tiene conto degli ultimi dati resi disponibili dall’ONU e della classifica del PIL dei paesi prodotta dalla Banca mondiale – mostra la grande differenza che c’è tra alcuni paesi che offrono un aiuto reale ai rifugiati e altri che, semplicemente, non lo fanno. I calcoli seguono la prassi ONU che include i rifugiati registrati sia dall’UNHCR che dall’UNWRA, fondato nel 1949 per garantire aiuto ai rifugiati palestinesi che hanno perso tutto nel conflitto del 1948. Secondo l’ultima stima dell’UNHCR i rifugiati palestinesi sono 5,2 milioni su 21,3; ma di questo totale, le sei economie mondiali più importanti accolgono solo 2,1 milioni di persone.

Non si può dire che tutti e sei i paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati e richiedenti asilo stiano facendo il possibile per difendere i loro diritti, ma complessivamente è indubbio che abbiano assunto una responsabilità non paragonabile a quella delle sei maggiori economie mondiali. I paesi ricchi sono nella condizione di colmare questo gap attraverso il reinsediamento dei più vulnerabili, ossia ricorrendo a quella procedura che consente ai rifugiati di ripartire e farsi una nuova vita in un paese terzo, diverso da quello da cui sono fuggiti e da quello in cui attualmente risiedono. Se è vero che, alcune delle nazioni ricche hanno offerto opportunità di reinsediamento ai rifugiati, non si può negare che i numeri di questa accoglienza siano molto bassi: nel 2015 il totale era di 57.167 persone, vale a dire meno del 6% dei 960.000 uomini, donne e bambini che avrebbero avuto bisogno di ricorrere a questa procedura.

Ci sono altre misure, oltre al reinsediamento, che potrebbero essere adottate per non costringere le persone in fuga a intraprendere veri e propri viaggi della morte: ad esempio favorire i ricongiungimenti familiari e concedere visti umanitari. Nessuna di queste misure dovrebbe mai essere usata per impedire, a chi non ne ha usufruito, di chiedere asilo. Il diritto di chiedere asilo è un caposaldo della legge internazionale e in nessun modo può essere messo a repentaglio.

L’esternalizzazione del controllo delle frontiere

Nel 2015 i sei paesi più ricchi hanno dato all’UNHCR quasi 2 miliardi di dollari per l’aiuto ai rifugiati: fondi essenziali per assicurare riparo, cibo, acqua e altre forme di sostegno. Fornire aiuto economico non vuol dire, in ogni caso, venir meno alla responsabilità di dover accogliere più rifugiati; non è accettabile che i paesi ricchi diano denaro ai paesi in via di sviluppo affinché si facciano carico dell’accoglienza dei rifugiati, bloccandoli di fatto dentro i loro confini.

I governi europei hanno adottato nel 1951 la Convenzione sui Rifugiati, ma l’attuale crisi dell’accoglienza ai migranti mostra il loro scarso impegno nel rispetto del diritto internazionale. L’accordo Ue-Turchia, che scambia i rifugiati con concessioni politiche, ne è il più eloquente esempio. Gli aiuti ai paesi in via di sviluppo per sradicare povertà e disuguaglianza sono essenziali, ma i governi europei sono pronti a collaborare con regimi come il Sudan e l’Eritrea, per fermare i flussi migratori. A questo proposito, un documento che descriveva un progetto Ue di 46 milioni di euro per ‘migliorare la gestione delle migrazioni’ in Sudan ha svelato la preoccupazione, da parte dei funzionari dell’Ue, che finanziare centri di detenzione, scanner e fotocamere potesse provocare critiche “sull’impegno dell’Europa verso governi repressivi sulle migrazioni”. Un tale uso distorto degli aiuti è destinato a diventare routine, se le politiche europee continueranno a esternalizzare il controllo delle frontiere. I leader Ue hanno recentemente dichiarato di essere disposti a far uso delle ‘leve necessarie’ con tutti i paesi di origine e transito per fermare le migrazioni; una posizione che si è guadagnata la condanna di oltre 100 organizzazioni non governative europee e di parte della società civile africana che non ha risparmiato di sottolineare: “L’esca degli aiuti europei per combattere le migrazioni rischia di trasformare le autorità africane nei gendarmi del proprio popolo”

I prossimi vertici di settembre sui rifugiati

Ma ciò che fanno i governi non sempre riflette l’opinione della popolazione. Come dimostra un recente studio di Amnesty International, in 22 dei 27 paesi oggetto della ricerca (dalla Cina agli Stati Uniti), la maggior parte delle persone vuole che il proprio governo faccia di più per aiutare i profughi che scappano da guerre e persecuzioni. Ovunque nel mondo si assiste a dimostrazioni di solidarietà e accoglienza; in Grecia gli abitanti delle isole e dei villaggi soccorrono i migranti che rischiano di annegare a bordo di imbarcazioni di fortuna; in Giordania le comunità non hanno risparmiato di offrire pasti e doni alle famiglie siriane durante il mese di Ramadan.

In vista dei prossimi due vertici sulla crisi dei rifugiati che si terranno tra 2 mesi a New York, i leader del mondo non possono ignorare questi segnali di solidarietà e aiuto che vengono dai loro cittadini. Il 19 settembre gli stati membri delle Nazioni Unite si incontreranno per il primo summit dedicato alle migrazioni e il giorno successivo il presidente Barack Obama ha invitato tutti i leader del mondo a riunirsi per trovare una soluzione alla crisi dei rifugiati ed aiutare milioni di persone in fuga da guerra, disastri e fame.

(fonte: Oxfam)