La clinica mobile della Ong ha lavorato per sei mesi in sette insediamenti lucani in cui, senza servizi e accesso alle strutture sanitarie, trovano rifugio coloro che lavorano come stagionali nei campi per pochi euro

Nell’ex Felandina, una delle baraccopoli della Basilicata in cui vivono ammassati migliaia di immigrati sfruttati dai caporali per le raccolte stagionali, è finito anche Simon, 29 anni. Viene dall’Eritrea ed è un rifugiato politico ma anche lui è finito in quell’inferno. Operato all’anca quattro anni fa a Venezia, con una parziale invalidità, uscito dall’ospedale non è più potuto rientrare nel centro di accoglienza di Venezia. Senza lavoro e senza casa, alcuni amici gli hanno suggerito di raggiungerli lì dove almeno pochi euro lavorando nei campi si rimediavano ed è finito lì: “Quando sono arrivato non potevo credere ai miei occhi, la situazione era orribile, le persone vivevano come gli animali, peggio degli animali. C’erano i rifiuti davanti alle case, non c’era il bagno, non c’erano le docce. Non era una situazione umana”. Intanto per lui anche lavorare nei campi si è rivelato problematico poiché i datori di lavoro, considerando la sua invalidità, non lo assumevano. Si è ritrovato bloccato, senza speranza.

Simon è uno dei 900 immigrati che l’equipe di Medici senza frontiere ha incontrato e visitato in un progetto dedicato e, grazie a loro, è stato indirizzato all’accoglienza presso una struttura di Matera dove ha anche potuto cominciare un percorso di formazione professionale.

“Vite a giornata. Precarietà ed esclusione nelle campagne lucane” è il titolo del report redatto da Msf sul progetto portato avanti tra luglio e novembre 2019 in sette insiediamenti informali, baraccopoli, aree industriali dismesse, casolari fatiscenti , senza acqua potabile e in pessime condizioni igienico-sanitarie, in cui trovano rifugio circa 2000 persone. Ora a proseguire il loro lavoro di assistenza sanitaria sarà l’associazione locale Loe-Uisp a cui sono stati donati il camper dell’unità mobile, le attrezzature mediche e le scorte di farmaci.

In generale, il quadro che è venuto fuori è quello di una situazione in cui il diritto alla salute è negato. La maggior parte dei migranti visitati presentava condizioni mediche problematiche legate alle difficili condizioni di lavoro e di vita. Meno di metà di loro aveva una tessera sanitaria e dunque la possibilità di accedere a cure mediche nelle strutture pubbliche. Da qui l’appello di Msf alle autorità locali per abbattere le difficoltà di accesso al sistema sanitario attraverso l’attivazione di ambulatori di medicina dedicati nei territori in cui si registra una forte presenza di stranieri e per definire strategie di lungo periodo per garantire soluzioni abitative dignitose.

 

Fonte: La Repubblica