In Italia sembra sia tornato di moda in questi giorni. Ad uso contestazione. Ma quella banconota colorata (a dir la verità dei facsimile) che due membri di spicco del movimento 5 stelle (Di Maio e Di Battista), o la leader del Partito Fratelli di Italia, sventolano nelle trasmissioni televisive o nei comizi, imputandole tutti i mali della migrazione e accusando la Francia di usarla per sfruttare i Paesi africani, esiste in verità dal lontano 1945. E con gli sbarchi sulle coste italiane c’entra davvero poco. Il franco CFA (che significava inizialmente “franco delle colonie francesi d’Africa”) è infatti il nome non di una ma di due valute comuni a diversi Paesi africani, create per l’appunto nel 1945, la cui convertibilità esterna è garantita dal Tesoro francese.

Oggi viene utilizzata in 14 Paesi africani, quasi tutti francofoni, e quasi tutti ex colonie francesi (fanno eccezione la Guinea equatoriale, ex colonia spagnola, e la Guinea-Bissau, ex colonia portoghese). Per la precisione un primo gruppo di sei Paesi dell’Africa centrale (Camerun, Repubblica centrafricana, Congo, Gabon, Guinea equatoriale, Ciad) riuniti nella Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (Cemac). E un secondo gruppo di otto Paesi dell’Africa occidentale (Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guina Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo) riuniti nell’Unione economica e monetaria ovest-africana (Uemoa) . Il primo gruppo di Paesi ha come istituto di emissione la BCEAO (Banque centrale des États de l’Afrique de l’Ouest), il secondo gruppo la BEAC (Banque des États de l’Afrique centrale); le rispettive valute non sono intercambiabili.

Come funziona il CFA
Il franco CFA aveva in principio parità con il franco francese. Successivamente all’introduzione dell’euro il suo valore è stato agganciato alla nuova valuta (un euro è pari a 655,957 franchi CFA). Ciò nonostante è la Banca di Francia, e non la Banca centrale europea a garantire la convertibilità del franco CFA. Gli accordi che vincolano i due istituti centrali con le autorità francesi sono identici e prevedono, tra le altre, le seguenti clausole: un tipo di cambio fissato alla divisa europea; piena convertibilità delle valute con l’euro garantita dal Tesoro francese; fondo comune di riserva di moneta estera a cui partecipano tutti i Paesi del CFA (il 50%% delle posizioni in riserva depositate presso il Tesoro francese, che in tal modo si fa garante del cambio monetario). In contropartita alla convertibilità era prevista la partecipazione delle autorità francesi nella definizione della politica monetaria della zona Cfa.

Accuse che non trovano riscontri
Il j’accuse di Alessandro Di Battista non poggia su fondamenta solide. Finché non avremo risolto la questione del franco CFA, la gente continuerà a scappare dall’Africa, aveva dichiarato. Questo punto di vista non sembra tuttavia trovare riscontro nei fatti. Perché se si prendono i dati ufficiali rilasciati da ministero dell’Interno, Eurostat e Frontex, non si evince quella connessione, anzi questa stretta correlazione tra il numero di migranti che partono da Paesi che usano il CFA e il numero di migranti che sbarcano in Italia. Per esempio, l’elenco, aggiornato al dicembre del 2018, del ministero dell’Interno, evidenza una realtà del tutto diversa; il primo Paese che adotta il franco CFA è la Costa D’Avorio(1.064 persone su 23.370), che è però solo ottavo nella lista dei Paesi (di origine) da cui arrivano più migranti. Per non parlare della lista dei Paesi di provenienza dei richiedenti asilo: in questo caso non figura nessuna ex colonia francese.
Un ultimo dato che contraddice le posizioni di chi vede una correlazione tra sbarchi in Italia e Cfa. In tutto il 2018 le persone arrivate in Italia da paesi che adottano questa moneta sono state meno di duemila.

Chi sostiene il CFA
Certo, il CFA ha anche dalla sua non pochi ma soprattutto influenti sostenitori: gli esponenti dei governi e delle classi dirigenti dei Paesi che lo adottano. D’altronde, ai loro occhi, il CFA è utile e redditizio. Essendo vincolata all’euro, la moneta è stabile. E quindi garantisce prezzi costanti, evita scossoni monetari, tra cui le temute impennate dell’inflazione, e permette scambi più semplici e sicuri con la Francia e il resto dell’Unione Europea.

Chi lo critica
Il “partito” di chi critica il CFA è forse più numeroso e trasversale. A partire da quell’élite di intellettuali africani ed europei, oltre che esponenti di partiti e movimenti anticolonialisti: a loro modo di vedere il CFA rappresenta un freno allo sviluppo dei Paesi che lo adottano. E rappresenterebbe altresì uno strumento di controllo indiretto da parte della Francia. Difficile contestare che, grazie al cambio fisso, la classi agiate africane possano spendere con facilità importando beni di lusso europei con denaro non di rado frutto di corruzione o comunque di origine sovente poco trasparente. È peraltro difficilmente contestabile che, sempre grazie a questo sistema valutario, le multinazionali francesi sono in grado di investire nei Paesi africani mettendosi al riparto da improvvise ondate di svalutazione.

A farne le spese sono soprattutto i produttori africani desiderosi di esportare i loro beni in Europa. Il cambio fisso rende molto costose le loro merci (e invece agevola gli agricoltori francesi ed europei mettendoli in parte al riparo dalla concorrenza dei produttori africani).

 

Fonte: IlSole24Ore