Secondo la normativa Sar “Soccorso e ricerca” sono naufraghi e come tali in base alla Convenzione di Amburgo del 1979 e al diritto internazionale del mare le autorità competenti, cioè quelle italiane, devono essere portati a terra.

Dopo 19 giorni in mare, in attesa di un porto sicuro, per i migranti della Open Arms rimane apparentemente una sola, disperata possibilità per raggiungere la terraferma in tempi brevissimi: gettarsi in mare. Già molte persone a bordo della nave, battente bandiera spagnola, lo hanno fatto. I primi sono stati portati al molo di Lampedusa, dopo essere stati recuperati dalla Capitaneria di porto italiana, che non ha fatto altro che applicare la Convenzione di Amburgo del 1979.

Secondo la normativa Sar (Search and rescue – Ricerca e soccorso), “le autorità di uno Stato costiero competente sulla zona di intervento in base agli accordi regionali stipulati, che abbiano avuto a propria volta notizia dalle autorità di un altro Stato della presenza di persone in pericolo di vita nella zona di mare Sar di propria competenza, dovranno intervenire immediatamente senza tener conto della nazionalità o della condizione giuridica di dette persone”. In pratica, una volta in mare, i migranti sono da considerarsi dei naufraghi a tutti gli effetti e quindi per le autorità, in questo caso italiane, scatta l’obbligo di soccorso previsto dal diritto internazionale del mare.

La Convenzione Sar del 1979 impone, infatti, un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare e il dovere di sbarcare i naufraghi in un porto sicuro. Secondo le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare, il governo responsabile per la regione Sar in cui è avvenuto il recupero è tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso vega fornito. “Un luogo sicuro – si legge nelle Linee guida – è una località dove: le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte”. In sostanza, l’unica soluzione è portarli a Lampedusa. Dopodichè, si legge nelle Linee guida, “può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale”.

 

Fonte: La Repubblica