Primo report firmato da ActionAid e Openpolis su cosa è cambiato dall’approvazione del decreto sicurezza. Raddoppiate le spese per i centri per il rimpatrio ma solo il 20 per cento degli espulsi viene effettivamente rimandato indietro.

     

Ottantamila persone messe in strada, fuori dalle strutture di accoglienza in cui avevano trovato ospitalità e avviato il loro percorso di integrazione con un permesso da richiedente asilo nell’attesa che la loro domanda venisse vagliata dalle commissioni.
Ha un numero ben definito l’esercito dei migranti, presenti sul nostro territorio ancora con un titolo di soggiorno valido, che il decreto sicurezza voluto da Matteo Salvini che ha dato un taglio netto all’accoglienza e ai criteri di concessione dei permessi di soggiorno, ha messo in mezzo alla strada
Un numero che viene censito dal rapporto “La sicurezza dell’esclusione – Centri d’Italia 2019” realizzato da ActionAid e Openpolis che, per la prima volta, offre una valutazione dell’impatto delle politiche migratorie del primo governo Conte.

Il report stima che il numero degli irregolari potrà arrivare a 680.000 entro la fine dell’anno e superare i 750.000 a gennaio del 2021. Un aumento consistente del numero degli immigrati diventati irregolari per la soppressione della protezione umanitaria che ha prodotto innanzitutto l’aumento della percentuale dei cosiddetti “diniegati”, cioè coloro ai quali viene negata qualsiasi forma di protezione internazionale, che passano dal 67 per cento del 2018 all’80 per cento del 2019.

Il secondo tema forte del report è quello dei nuovi bandi per la gestione dei centri che le prefetture di tutta Italia hanno difficoltà ad aggiudicare e il preoccupante ritorno dei grandi Cas, i centri di accoglienza straordinari nelle periferie delle città, quelli che si era andati a smantellare perchè considerati vere e proprie bombe ad orologeria, a discapito degli Sprar, i centri di seconda accoglienza diffusa che vanno ad esaurimento dei progetti nei prossimi mesi.

Due le tendenze che emergono dal report: da una parte la riduzione delle cifre procapite al giorno che appunto va a penalizzare i centri più piccoli e ad incentivare quelli medi e grandi per i quali sono realizzabili economie di scala e a cui sono interessati grandi gruppi immobiliari e gestori di medie e grandi dimensioni a danno delle cooperative e associazioni che impiegano personale qualificato. La seconda tendenza è una difficoltà evidente nell’applicazione concreta del nuovo capitolato: da dicembre scorso all’inizio di agosto su 428 contratti d’appalto messi a bando da 89 prefetture, più della metà sono proroghe mentre solo 208 sono accordi che hanno seguito i nuovi standard.

Il rapporto analizza anche le spese per l’accoglienza e i rimpatri. Se le spese sono previste in calo di circa 150 milioni rispetto al 2018, il fondo rimpatri registra un aumento notevole, da 3,9 a 11,4 milioni di euro. In controtendenza le spese per i centri di permanenza e rimpatrio che mostrano una crescita di 6 milioni di euro, il 46,9 per cento. A cui però fa da contraltare il numero estremamente basso delle persone lì detenute che vengono effettivamente rimpatriate, solo il 20 per cento degli espulsi.

ActionAid e Openpolis sottolineano come il livello di trasparenza del sistema di accoglienza garantito dalle nostre istituzioni non sia affatto migliorato. “Anche quest’anno dobbiamo denunciare un livello di trasparenza delle informazioni assolutamente inadeguato. Chiediamo che il ministero dell’Interno – dice Vittorio Alvino, preesidente di Openpolis – permetta finalmente l’accesso ai dati del sistema di gestione dell’accoglienza per consentire un controllo pubblico e indipendente su come sono stati spesi 2,7 miliardi di euro nel 2018”.

“Il decreto sicurezza ha creato un paradosso evidente – dice Marco del Ponte, segretario generale di ActionAid – la scelta di cancellare la protezione umanitaria è intervenuta proprio quando gli sbarchi sono al minimo dal 2010. Auspichiamo che il nuovo governo Conte dia presto un reale segno di discontinuità abrogando il decreto”.

 

Fonte: La Repubblica